Le emozioni sono fondamentali nella nostra vita. Tuttavia siamo spesso portati a considerare alcune emozioni più adeguate rispetto ad altre: alcune “positive”, altre “negative”; alcune “giuste”, altre “sbagliate”. In realtà etichettarle in questo modo non è corretto.
Tutte le emozioni che proviamo sono importanti: lo è anche la tristezza. Esse sono state fondamentali per l’evoluzione della nostra specie e svolgono ancora adesso funzioni indispensabili per la nostra sopravvivenza e qualità di vita.
Sono mezzi fondamentali per prendere decisioni ed effettuare scelte che siano “giuste” per noi in uno specifico momento, consentendoci di organizzare il nostro comportamento in maniera coerente con quello che va bene per noi.
Nonostante questo, però, tendiamo spesso a svalutarne l’importanza, assumendo atteggiamenti che non ci consentono di stare in contatto con alcune di loro. E questo vale, soprattutto, per quelle che tendiamo a considerare “negative” o “spiacevoli”. Tra queste troviamo la tristezza.
COS'E' LA TRISTEZZA
La tristezza è un'emozione contraria alla gioia e alla felicità. Essa può essere provata in condizioni normali, durante la vita di tutti i giorni, oppure a causa di un evento particolarmente drammatico, come una perdita, un lutto o una scomparsa. È una delle "sei emozioni fondamentali" descritte da Paul Ekman, insieme a felicità, rabbia, sorpresa, paura e disgusto.
Il momento della tristezza rappresenta l'incontro tra il desiderio e i suoi limiti propri. Non è l'esterno che in qualche modo delimita il desiderio, bensì questi limiti sono costitutivi del desiderio stesso. Accettare la propria limitatezza aiuta in qualche modo a superare la tristezza.
La tristezza è un sentimento fisiologico se limitato ad occasioni circoscritte. Se questa situazione perdura per lunghi periodi si parla di depressione.
Tutta la muscolatura facciale è coinvolta durante un'espressione di tristezza: i muscoli perdono di rigidità, talvolta manifestando inespressività, la fronte tende a corrugarsi, gli angoli della bocca sono rivolti verso il basso.
A COSA SERVE LA TRISTEZZA
Una delle funzioni principali della tristezza risiede proprio nel segnalare, alle persone a noi vicine, il bisogno della loro vicinanza, del loro sostegno, aiuto o conforto in momenti di difficoltà. E il pianto stesso, che può essere un indicatore di tristezza intensa, aiuta a esprimere agli altri ciò che proviamo e segnala loro questo bisogno di vicinanza e aiuto.
La tristezza riveste, quindi, un ruolo centrale nello sperimentare il supporto da parte degli altri, oltre che nello sviluppo e nel mantenimento delle nostre relazioni. Altra funzione importante svolta dalla tristezza è quella di consentirci di “raccoglierci”, promuovendo la riflessione e l’analisi profonda e autentica sugli eventi della nostra vita, con la possibilità di cercare un senso a quello che ci accade o al nostro dolore; e può favorire la riflessione anche su temi di vita più generali e esistenziali.
La tristezza è, quindi, fondamentale per elaborare gli eventi spiacevoli che ci accadono, ma ha anche la potenzialità di agire come stimolo al cambiamento: starci in contatto ci consente di farle svolgere la funzione di segnalarci che qualcosa non va, rifletterci e trovare un senso; ma anche di sollecitarci ad un cambiamento teso a raggiungere un equilibrio e un assetto che siano migliori per noi, mostrandoci nuove prospettive prima magari non visibili.
COSA SUCCESE SE SI SOFFOCA LA TRISTEZZA
Quando l’espressione di emozioni come la tristezza viene considerata fonte di rischio di valutazione da parte degli altri, possiamo sentire l’esigenza di nasconderla o mascherarla.
Ma le motivazioni che possono sottostare alla poca disponibilità a stare in contatto con la tristezza ed esprimerla all’esterno possono riguardare anche altri piani. In alcuni casi si possono avere credenze relative al fatto che mostrare tristezza potrebbe significare mostrarsi non sufficientemente interessanti o attraenti per gli altri. E magari per questo anche essere lasciati soli.
Inoltre, nelle persone che hanno sofferto di depressione, è frequente il timore che sperimentare tristezza possa significare ricadere nel disturbo.
Per cercare di non stare in contatto possiamo usare diverse strategie: non ci fermiamo mai impostando la nostra vita in modo da avere sempre qualche attività da svolgere e non avere spazi per connetterci con noi stessi e sentire autenticamente; assumiamo farmaci; tratteniamo quello che proviamo non consentendoci di sentirlo fino in fondo e impedendo alle emozioni di svolgere le funzioni per le quali esistono; o, ancora, assumiamo convinzioni che svalutino l’importanza che le emozioni rivestono per affrontare problemi e scelte rispetto al pensiero logico e alla razionalità.
Così, non consentirci di sperimentare la tristezza ci priva della possibilità di imparare a gestirla: non ci consentiamo di sperimentare il fatto che abbiamo tutte le risorse necessarie per fronteggiarla o almeno imparare a maneggiarla. Non riusciamo a vedere che la tristezza è solo tristezza. E non la accettiamo come parte della nostra vita, una naturale fase di passaggio.
Tutti questi meccanismi possono indurre addirittura allo sviluppo di una vera e propria fobia per gli stati interni dolorosi. Per questo diventa fondamentale consentirci di esplorare gli stati emotivi dolorosi o di cui abbiamo paura. Ascoltarci, connetterci alle sensazioni fisiche e stare in contatto con quello che proviamo ci consente, infatti, di utilizzare i segnali che percepiamo in maniera per noi vantaggiosa e positiva, anche in termini di evoluzione personale, e ad averne sempre meno paura.
COME POTER ESPRIMERE LA TRISTEZZA
Per consentirci di sentire la nostra tristezza ed esprimerla all’esterno, dobbiamo poi anche consentirci di dire a noi stessi e agli altri che, quantomeno in uno specifico momento, siamo vulnerabili, che abbiamo bisogno di qualcun altro, che non siamo totalmente in controllo. E questo non è facile per tutti: si può infatti avere paura di provare tristezza, se nella nostra storia di vita abbiamo imparato presto che, se abbiamo bisogno di qualcuno disponibile a sostenerci, non avremo la possibilità di trovarlo. E quindi si può imparare presto a non stare in contatto con questa emozione e negarne l’esistenza, per proteggerci dal rischio di non trovare qualcuno disponibile a sostenerci e fornirci aiuto quando ne avremmo bisogno: così si impara a “non sentire” e a fare tutto da soli, si crede di non aver bisogno di nessuno e di essere autosufficienti qualunque cosa accada.
Il benessere e l’equilibrio psicofisico può nascere solo dalla corretta interazione tra le emozioni, permettendoci di soffermarci su ognuna di esse, dandoci qualche volta anche l’occasione di stare in silenzio, spegnendo TV, smartphone e computer senza paura, ascoltando il suono delle nostre emozioni, accogliendo anche la tristezza. In questo modo impareremo a gestire i momenti difficili senza cadere nell’ansia, senza perdere il controllo, accettando e comprendendo che tutte le nostre emozioni hanno un ruolo e un senso nella nostra mente. Ecco allora il valore delle lacrime, che hanno il fascino di poter essere figlie sia della gioia che della tristezza, ed hanno la capacità di farci sentire sollevati aiutandoci a non tenerci tutto dentro.
In conclusione, la paura di sentire e stare in contatto ci porta spesso a vivere evitando le nostre emozioni. Ma questi meccanismi hanno costi importanti. È vero che contattare quello che sentiamo può essere a volte faticoso, doloroso, metterci davanti a problemi da affrontare. Ma è anche vero che non contattarle significa vivere una vita non piena.
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